IL MITO DI ERCOLE

L’eroe italico che sconfisse la morte

“Ciò che i Greci hanno ereditato dai barbari, l’hanno poi trasformato in qualcosa di molto più bello”, così recita Platone in un suo dialogo, l’Epinomide, parole che converrebbe tenere sempre a mente, a dimostrazione del genio creativo greco-ellenistico, ma anche della sua grande capacità di fare propri miti e leggende desunte da quei barbari dei paesi che produssero i primi uomini che si occuparono di studio, i sapienti. Se Platone ricorda Egitto e Siria, quindi il Medioriente, come esempi di civiltà superiori: “ed è da quei paesi che tali osservazioni si sono poi diffuse ovunque, anche qui, dopo un’infinita serie di anni”, e guarda con venerazione al passato, a un mondo in cui erano esistiti i sapienti, gli studiosi moderni e contemporanei sembrano avere invertito questa tendenza privando del rispetto dovuto il passato, con interpretazioni basate su pregiudizi correnti, ormai divenuti una specie di norma inappellabile.

                                                                        Plato docet

Il discorso vale per la storiografia che ancora spiega la sapienza greco-italica senza considerare minimamente il punto di vista degli antichi, per la linguistica storica ancorata tuttora alla “favola dell’indoeuropeo”, per l’antropologia culturale legata a schemi precostituiti, per l’archeologia che pone la classicità base e origine della civiltà occidentale.
L’ottica di mistificazione interpretativa ha colpito anche i miti, tra i quali quello relativo al nostro oggetto di indagine, il greco Eracle, l’italico Ercole, l’etrusco Hercle, l’eroe delle 12 fatiche, della sete di immortalità, dell’improvvisa pazzia, oggetto di venerazione, di indagine, di rappresentazioni artistiche dall’antichità fino ad oggi, eroe popolare protagonista di opere cinematografiche e adattamenti televisivi, video-games e fumetti.
Contrariamente a quanto si afferma nell’Enciclopedia di arte antica della Treccani sotto la voce Ercole italico e romano, cioè che “L’Ercole romano deriva il nome dall’Eracle greco ed è essenzialmente anche la recezione dell’eroe greco da parte dei Romani”, viene qui proposta una lettura diversa dell’eroe italico che precede nel tempo quello romano.

Gilgamesh

Ai Greci sfuggiva il profondo significato di Eracle-Ercole, che è legato al regno dei morti, il suo mito è un sincretismo di motivi antichi e di altri suggeriti dalle interpretazioni popolari successive, date ai nomi e alle voci che richiamano attributi di divinità remote, penetrate dall’ oriente tra le genti del Mediterraneo. Eracle che si reca nell’Ade per liberare l’amico Teseo ricorda l’epos del sumerico Gilgamesh e dell’amico Enkidu nel regno dei morti, dove anche la mesopotamica Ishtar era discesa o il tracio Orfeo, o dove scenderanno anche il greco Ulisse e il troiano Enea.

E l’Occidente che per i popoli d’Oriente richiama il mondo del tramonto del sole, delle tenebre, come Acheronte, Esperia, Atlante, Aitalia… diventa la meta di Ercole che giunge nel giardino delle Esperidi, ad Atlante. E come Orfeo il cui nome deriva dalla stessa base di erebo (la morte), discende nell’Averno, re delle terre del tramonto, l’eroe più inquieto e travagliato dell’umanità mitica, simbolo dell’ansia che combatte la morte e di una sofferta immortalità, in quanto semidio, più vicino all’uomo, divinità soccorritrice, come mostra il suo epiteto, l’Alcide, che corrisponde all’accadico alik idi , il soccorritore, il salvatore.
Si spiega così la grande venerazione che l’Ercole italico ha avuto nel Lazio, ove non compare la grecità del culto, ma la figura dell’eroe si colora nel tempo di un sostrato fenicio, di apporti mediterranei e di pietas italica, nel contesto di una religiosità in cui prevalgono divinità femminili rurali e fecondatrici, riconducibili alla primordiale Magna Parens,: Mater Matuta, Cerere. Bona, Carmenta, Ercole Laziale è tutt’uno, come rileva Terenzio Varrone, con il sabino Sanco Dio Fidio, garante dei giuramenti, della parola data. Il ben noto Mehercle! con cui Ercole è invocato a testimone del vero altro non è che un calco di un originario me Dios Fidios.

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