Madonna del Riposo, Trevi nel Lazio

Madonna dagli occhi turchini di Dante Zinanni

Madonna dagli occhi turchini,
mozza il fiato quest’erta,
che sale dal fiume,
mi dà respiro la tua dimora
solitaria
sulla pendice levigata del sole.

M’accogli sempre come dono,
quando vengo da te,
e mi sveli
il tuo lungo giorno di madre
ai silenzi d’argento a specchio
sui cardi dell’inferriata,
deposti da mano di donna
per voto d’amore.

Con questi versi ha inizio un canto poetico pieno d’amore dedicato alla Madonna del Riposo, scritto da un illustre figlio di Trevi nel Lazio, sacerdote, studioso, versatile genio della terra ciociara, prof. Dante Zinanni, al quale il 22 gennaio 2017, nel decennale della sua morte, è stato inaugurato il cippo della memoria, a Trevi, dove era nato il 17 dicembre 1926. In quell’occasione furono dette e lette commoventi parole in suo ricordo tra cui quelle espresse in una lettera dalle Prof.sse Biancamaria e Maria Teresa Valeri che per motivi personali non poterono essere presenti alla cerimonia in ricordo di Padre Dante Zinanni, lettera letta dalla Prof.ssa Laura D’Ottavi, da cui ho estrapolato queste parole:

“P. Dante, pur vivendo per impegni sacerdotali e professionali a Roma, non ha mai dimenticato la sua Terra d’origine, Trevi nel Lazio, né la “Patria”, la Ciociaria. Per tutta la vita ha cercato di promuovere la sua Terra, presentandola a 360°, in tutti i suoi aspetti: evidenziandone la cultura, la spiritualità, la storia, le tradizioni, le bellezze artistiche e paesaggistiche. “Cari Amici, la Ciociaria vi saluta”. Con questa frase, piena di pathos e di convinto amore per il ruolo che ricopriva e che ha vissuto con decoro e dignità, P. Dante Zinanni era solito salutare i convenuti in ogni convegno, in ogni manifestazione, in ogni incontro in cui si parlasse di Ciociaria e non solo. Si sentiva “apostolo della Ciociaria” e non mancava mai di manifestarlo, con le parole e con le opere. L’opera di P. Dante a sostegno della Ciociaria? La “sua” Rivista, “Terra Nostra”, che potremmo definire “organo ufficiale delle Ciociaria”. Ogni Città, ogni Paese della Provincia di Frosinone aveva la sua redazione e i suoi redattori, i suoi giornalisti, che svolgevano il loro lavoro totalmente a titolo gratuito, per amore della nostra terra. La rivista aveva tiratura mensile ed era un ricco mosaico di articoli di storia e tradizioni ciociare, di brani letterari e poetici, di cronaca ciociara: era la vetrina della Ciociaria, era una “finestra” aperta sulla Ciociaria, che si presentava nei suoi spiriti migliori e si manifestava … al mondo intero. Sì, perché “Terra Nostra” non era indirizzata solo ai Ciociari residenti a Roma (in tal caso sarebbe stata una rivista di nicchia, una rivista per pochi eletti), ma ai Ciociari che si trovavano a vivere in tutto il mondo.”
Avevo conosciuto lo spirito ciociaro di Padre Dante Zinanni negli anni Ottanta, attraverso un suo libro , La Madonna del Riposo in Trevi nel Lazio, Strenna Ciociara 1984 Edizioni Terra Nostra. Me ne aveva parlato un suo collega di lettere del San Leone Magno di Roma che finì per regalarmelo e che non poco contribuì a far nascere il mio interesse per queste terre della regione storica, che Padre Zinanni promuoveva come “apostolo” della Ciociaria.
L’anno 1983 – scrive nella prefazione l’ allora sindaco, Paolo D’ Ottavi, per tutti, quanto a ricorrenze di cultura e di arte, passerà alla storia come l’anno del 5° centenario della nascita di Raffaello, per i cittadini di Trevi nel Lazio, però, è anche l’anno del 5° centenario della costruzione della Cappella della Madonna del Riposo. A ricordo e celebrazione dell’evento, l’Amministrazione Comunale ha incaricato il professor Dante Zinanni, di fissare in “aeternum” con una monografia le immagini, i fatti, le vicende legate al piccolo monumento religioso, che ha assistito a tanta parte della storia di Trevi. E bene ci riuscì l’autore che ebbe i natali in via della Madonna del Riposo n. 50

La Madonna del Riposo

Poco fuori del paese, alla confluenza delle strade provenienti da Porta Romana e da Porta della Mola, sorge il tempietto dedicato alla Madonna del Riposo, nome e sito adattissimi. Infatti la gente, che dal fondo della valle percorre la dura salita, vi sosta volentieri per riposare il corpo e lo spirito.
Della Madonna del Riposo esiste una relazione storica, indirizzata al card. Francesco Barberini, abate commendatario dell’anno 1705. La chiesetta consta di due cappelle, la prima fu eretta dalla pietà dei trebani sotto Sisto IV, poco fuori del paese nel 1483, in onore della Madonna per avere avuto due grazie, per aver salvato Trevi dalla peste del 1476 e per aver liberato il paese dal duca di Calabria Alfonso III di Aragona figlio di Ferdinando XVIII re di Napoli, che durante la sua devastante occupazione del Lazio, desistette con i suoi soldati dal salire a Trevi, fermandosi vicino al tempietto della Madonna.
La Cappella è lavorata con volta gotica e riparata da un cancello di ferro intarsiato di fogliami, costruito in Subiaco nel 1606 da M. Cesari. L’interno è tutto adornato di pitture. La Vergine col Bambino sul lato sinistro, collocata in sedia, secondo l’uso delle antiche immagini, è dipinta a muro, dentro un piccolo arco o cona. Nelle lunette sono raffigurati quattro santi dottori della chiesa. Nella zona sull’inferriata domina il Cristo Pantocratore recante in mano un libro con la scritta: Ego sum via, veritas et vita, qui sequitur me habebit lumen vitae.
Una rozza iscrizione a caratteri gotici recita.

Questa cappella à fatta fare lu populo de Treve, ad honore, et laude de Jesu Chisto, e della sua Matre Sancta Maria dello Repuso la quale li ha liberati de morbo; e delle mani del duca di Calabria e dei suoi seguaci christiani e turchi infedeli. Anno 1483. Petrus Pinxit.

I numerosi ex voto, che si trovavano nella cappella della Madonna del Riposo, furono rimossi durante alcuni restauri, perché logorati dal tempo.
La seconda cappella, quella di di San Sebastiano attigua alla principale, fu edificata qualche anno dopo come ringraziamento per essere rimasti incolumi dopo una seconda epidemia di peste che tra il 1482 e il 1486 afflisse le popolazioni del Lazio Meridionale. La seconda iscrizione riferisce :
Questa cappella à fatta pengere e fabricare da le fundamenta lu Populo con i fraternali de Treve, ad laude e reverentia del Onnipotente Dio, e della sua Matre, Vergine Maria, e de Sancto Sebastiano Martire glorioso, che li ha scampati de morbo. Anno 1486. Desiderius Sublaci me pinxit.

La peste e San Sebastiano

San Sebastiano è il principale santo protettore invocato contro la peste spesso insieme a S Rocco; durante il suo martirio viene colpito da numerose frecce, ma non muore e viene curato da S. Irene: le ferite causate dalle frecce sono paragonate ai bubboni della peste: il santo si è salvato perciò anche il popolo, rivolgendosi a lui spera di salvarsi dalla peste. Ma c’è un altro legame tra le frecce e la peste: l’ira divina è paragonata alle frecce scagliate da un arco e, nel medioevo, il diffondersi della peste fu visto come lo scatenarsi dell’ira di Dio.
Il culto del martire si diffuse prestissimo, ma solo a partire dal VII secolo gli vennero attribuiti grandi prodigi, in particolare la protezione contro la peste. Forse perché si credeva che la malattia si propagasse nell’aria rapida come una freccia scagliata dall’ira di Dio. Forse, e più semplicemente, perché quando nel 680 scoppiò a Roma una pestilenza violentissima, come narra Paolo Diacono nella sua Historia Longobardorum, il popolo ricorse a Sebastiano e la peste cessò improvvisa. Il fatto si ripeté di lì a poco a Pavia, e la fama taumaturgica del santo spiccò il volo: la quantità di opere d’arte che lo rappresentano dice, oggi, quanto egli fosse venerato, e la peste temuta.
L’iconografia di San Sebastiano passa dal primitivo modulo iconografico che lo ritraeva come un uomo barbuto, talvolta persino canuto all’immagine di questo giovane bellissimo che subisce nudo il martirio, divenuto dal tardo XV secolo e ratificato nel ‘500 l’usuale modulo iconografico accettato pressoché da tutti gli artisti, fino ad evolversi nel Rinascimento in un martire sempre più giovane e bello quasi un efebo, scalfito dolcemente dalle lance, in una lettura sempre più omoerotica della figura di San Sebastiano.

 

 

 

 

 

 

 

 

La singolare iconografia del S. Sebastiano di Trevi nel Lazio

Il pittore Desiderio di Subiaco vi sviluppa una vasta tematica iconografica, espressione della vitalità e della ricchezza del patrimoni culturale e religioso del tempo. Se Pietro, nell’adiacente cappella, rimane ancorato a ideologie e tecniche del medioevo, Desiderio esprime la rivoluzione dell’epoca. Oltre quello religioso particolare rilievo occupa il valore del costume in una società che si è fatta più evoluta, dietro gli incentivi della nuova classe mercantile.
Desiderio affresca la cappella di S. Sebastiano, ritraendo l’età gotico-rinascimentale trebana. Sopra l’altare con solenne monumentalità campeggia S. Sebastiano nudo con i segni evidenti del martirio (otto strali e vari punti d ferite), attorno diciassette personaggi pubblici, nobili della comunità, forse ritratti di contemporanei. Ma è nel ricamo pittorico della parete meridionale che sta tutta la singolarità dell’iconografia trebana del martire.
A sinistra di chi entra compare subito un S. Sebastiano in elegante abito rinascimentale, non rigido nei lineamenti: occhi intelligenti, mano destra riposante sulla fusciacca bianca alla vita, annodata sul fianco sinistro con capo pendente, e bordone da viaggio sulla sinistra; sull’aureola il nome: S: Sebastianus. A destra dell’ingresso di nuovo S. Sebastiano col bordone nella mano destra. La capigliatura, incorniciante il viso e di colore biondo come d’uso nell’arte decorativa del XV secolo, il baschetto nero, le calze lunghe e strette fino ai fianchi, il petto ornato da due vistose collane di perle, il colore rosso argilla dell’abito in contrasto col nero delle calzature, mentre sviluppano con realismo il costume signorile quattrocentesco, rimarcano del santo la rinascimentale giovinezza.
Nella squisita capacità creativa di Desiderio S. Sebastiano declama con enfasi il privilegio di signoria sul luogo, del quale è patrono e custode, ma soprattutto è anche pellegrino alla Madonna del Riposo, a cui pure è dedicata la cappella. L’iconografia del S. Sebastiano trebano, vestito da pellegrino in abiti rinascimentali, trova in zona un simile modello iconografico nella Collegiata di S. Maria Maggiore di Alatri, in particolare nel Trittico Ligneo del Redentore, firmato con la locuzione più esemplare: Antonius de Alatro me fecit, databile intorno al 1470. Qui accanto alla Vergine e al Salvatore, sullo sportello di destra si staglia la figura di S. Sebastiano che veste gli abiti lunghi dell’epoca, ammantato di rosso in una lunga tunica, più vicino all’ideale cortese che al sentimento religioso sintetizzato nella freccia orgogliosamente mostrata con la destra.

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