Il mito pelasgico della creazione

A letto con gli Dei: Eurìnome ed Ofione

L’ immagine suggestiva dell’avventuriero popolo dei Pelasgi che in primavera solca le acque del Mediterraneo con le vele spiegate come ali di uccelli, ci è stata trasmessa da Filocoro, uno scrittore ateniese del IV secolo a.C., sacerdote e indovino che non seppe prevedere la sua morte violenta. Un enigma quello dei Pelasgi legato al mistero degli Etruschi, alla terra di provenienza, alla lingua che continua a turbinare intorno ai popoli antichi nella “favola dell’indoeuropeo” insieme ad altri arcani, a quello dei Celti, degli antichi Britanni, dei Sardi.
In attesa che l’ archeoastronomia renda giustizia al popolo dei Pelasgi, come costruttori delle mura poligonali legati ai Tirreni e ai popoli italici, non possiamo che ricordare due antichi miti legati ai Pelasgi: quello degli Argonauti alla ricerca del vello d’oro, che proietta i Pelasgi nelle terre dell’Occidente e quello della creazione, riportato, in parte, da Plinio nella sua Storia Naturale e da Apollonio Rodio nelle Argonautiche e ripreso poi da Robert Graves ne I Miti Greci.

All’ inizio Eurìnome, dea di tutte le cose, “vagante in ampi spazi”, emerse nuda dal Caos e non trovò nulla di solido per posarvi i piedi; allora creò il mare, il cielo e la terra. Pensò: “Voglio danzare” ed intrecciò una danza sulle onde. Presa dalla sua danza, si diresse verso Sud. Per la prima volta sentì il vento turbinare alle sue spalle. Quel vento le parve qualcosa di nuovo e distinto; decise allora di creare qualcos’altro a partire dal vento. Si girò e, afferrato fra le mani quel vento, lo modellò e lo trasformò in un serpente cui dette il nome di Ofione. La danza di Eurìnome si fece sempre più violenta ed eccitante. Ella, nuda com’era, descriveva archi sempre più ampi e sensuali ed Ofione l’avvolse tra le sue spire. Eurìnome si districò dal serpente e se ne allontanò, ma fu solo un momento. Lei stessa lo riprese tra le cosce e lo strizzò fino a quasi soffocarlo. Lo lasciò di nuovo ed ancora lo riprese, sempre danzando furiosamente finché Ofione la penetrò in maniera così selvaggia che lei sentì approssimarsi l’orgasmo, ed in quella sensazione vide tutte le cose che avrebbe creato.

Da quell’amplesso Eurìnome rimase incinta, allora prese la forma di una colomba e volò via lontano. A tempo debito depose l’Uovo Universale, che darà origine a tutto. La dea tornò da Ofione e gli ordinò: “Arrotolati attorno all’uovo, finché questo non si schiuda”. Ofione obbedì, si arrotolò sette volte attorno all’uovo e lo covò. Così nacquero tutte le cose esistenti, figlie di Eurìnome: il Sole, la Luna, i pianeti, le stelle, i monti, i fiumi, gli alberi, le erbe e gli animali viventi. Ed erano tutte della forma e della sostanza che lei aveva sentito nell’orgasmo.
Ma non c’erano ancora gli dèi e gli uomini. Eurìnome ed Ofione si stabilirono poi sul Monte Olimpo. Ben presto Ofione irritò la dea perché si vantava di essere il creatore dell’Universo, in nome del seme che le aveva versato dentro. Le disse: “Spetta a me sedere sul trono perché io sono il creatore di tutte le cose”. Eurìnome furibonda urlò: “Come osi, rettile; senza di me non saresti esistito. Io devo sedermi sul trono e governare su tutto”. Lo colpì sulla bocca con un calcio, gli spezzò tutti i denti e lo relegò nelle buie caverne sotterranee.

Rimasta sola, la dea creò i suoi nuovi compagni, i Titani, e li creò maschi e femmine. Creò poi i sette pianeti e mise a capo di ciascuno di esso un Titano ed una Titanide: Teia ed Iperione al Sole, Febe ed Atlante alla Luna, Dione e Crio al pianeta Marte, Meti e Ceo a Mercurio, Temi ed Eurimedonte a Giove, Teti ed Oceano a Venere, Rea e Crono a Saturno.
Dai denti caduti di Ofione nacque il primo uomo, Pelasgo, capostipite dei pelasgi; egli emerse nel suolo dell’Arcadia, subito seguito da altri uomini. Pelasgo insegnò agli altri uomini come fabbricare capanne e come nutrirsi di ghiande.

In questo complesso religioso arcaico non vi erano né dei né sacerdoti, ma soltanto una dea universale che domina il maschio, sua vittima sgomenta. Non succederà mai più nei miti successivi.