Gli Ernici, l’umanità dall’alba dei tempi

Il potente popolo italico dei sassi

Hernici dicti a saxis quae Marsi herna dicunt”, con queste parole il grammatico latino Festo denomina gli Ernici, la popolazione latina di razza sabina che deriva il suo nome dalla base del marsico herna: i sassi, le rocce, le rupi. Da Virgilio sappiamo che erano abilissimi nel lanciare frecce, che andavano in guerra con il piede sinistro nudo e il destro coperto da un calzare; secondo la tradizione inoltre portavano celate di pelle di lupo e talvolta la testa stessa della bestia con le fauci spalancate. Ovidio ci tramanda che presso il popolo ernico il mese di marzo sarebbe stato il sesto, quindi per loro l’anno iniziava nel mese di ottobre, come per gli Spartani ed i Fenici. Lo storico Tito Livio nella sua monumentale opera finalizzata all’esaltazione di Roma, nella Prima Decade racconta diversi episodi di guerra tra Romani ed Ernici dal punto di vista dei vincitori, che comunque per quasi due secoli si scontrarono con questa popolazione italica, riunita nella Lega Ernica.

Si tratterebbe di popolazione montana, confinante con i Volsci e i Sanniti a sud e con gli Equi ed i Marsi a nord, genti che abitavano il territorio compreso tra i Monti Prenestini ed Albani fino al fiume Liri, come precisato nel pregevole Latium di Athanasius Kircher attivo a Roma nella seconda metà del Seicento (“Hernica regio comprehendit illos populos qui Praenestinorum, Albanorumque montium dorso utrimque ad Lirim usque fluvium inhabitant”).

Alatri, Anagni, Ferentino,Veroli furono i loro oppida principali, che vissero di vita propria prima della conquista romana, circondate da quelle mura pelasgiche di costruzione precedente forse all’ insediamento ernico, che hanno destato stupore e meraviglia ai numerosi viaggiatori e studiosi dell’ Ottocento, se Gregorovius, nel suo Passeggiate in Italia del 1860, di fronte alle mura di Alatri poteva affermare: “Allorquando mi trovai dinanzi a quella nera costruzione titanica, conservata in ottimo stato, quasi non contasse secoli e secoli, ma soltanto anni, provai un’ammirazione per la forza umana assai maggiore di quella, che mi aveva ispirata la vista del Colosseo”.

All’ inizio e per tutto l’Ottocento, viaggiare per il Lazio era avventuroso. Ci volevano giorni di carrozza e occorreva munirsi di scorte per evitare i banditi. La prima cosa che il viaggiatore incontrava arrivando in una nuova città, dopo fitti boschi o all’improvviso da lontano, erano delle strane, enigmatiche mura che ancora oggi mantengono tutti i loro segreti. Ora che il turismo d’ élite e di massa si sta allargando in maniera “globale”, l’ ultima edizione della Guida del Touring Club Italiano, che dovrebbe anche fornire indicazioni storiche delle località citate nei percorsi, ignora completamente la grande civiltà italica che precedette l’impero romano e che pure ha avuto presumibilmente un ruolo rilevante nel contesto della formazione dei popoli e delle culture dell’ area del Mediterraneo, quasi che la nostra storia abbia avuto origine con Roma, considerata Caput Mundi. Solo a pag. 586 a proposito di Ferentino cita: “Agli Ernici si deve la delineazione della prima forma urbana e la costruzione della cinta muraria dell’ acropoli”.

Ma dell’origine degli Ernici come dei segreti delle mura megalitiche rimane il mistero più fitto. Quanto alla popolazione ernica stabilitasi in Italia presumibilmente in epoca protostorica, in età antica alcuni storici li facevano discendere dai Pelasgi ed altri dai Lidi, comunque era considerata una popolazione trasmigrata dal Medio Oriente. Per dirimerne qualche dubbio non possiamo che affidarci alla linguistica storica. Quanto ai segreti delle antiche città megaltiche non possiamo che ricorrere alle scoperte dell’archeoastronomia.

I Toponimi del popolo ernico

Per tradizione il nome degli Ernici è spesso collegato a quello degli Aborigeni in una visione storica oscura e confusa. Da dove provenivano questi popoli? Erano autoctoni o colonizzatori? Sulla scorta delle fonti storiche relative ai primi abitanti del Lazio, in particolare Plinio, si suppone che vi abitassero in diverse età successive gli Aborigeni, i Pelasgi, gli Arcadi, i Siculi, gli Aurunci ed i Rutili. Altri sostengono che nei primi tempi gli Aborigeni vivessero senza recinti di mura e che, giunti poi i Pelasgi in Italia, questi avessero circondato le comunità con le possenti mura, denominate successivamente ciclopiche per la loro imponenza.

Il contributo che la linguistica storica può darci riguarda sia l’etnonimo che i toponimi delle città di appartenenza. L’ origine è indubbiamente semitica e risale a basi sumerico-accadiche, come ha dimostrato il prof. Giovanni Semerano nella sua opera monumentale, Le Origini della civiltà europea.

Non è un caso che l’etimologia dei nomi di città e popoli che ci interessano in questo contesto ernico indichino tutti un collegamento con la natura del luogo (monti o alture, ricchezza di acqua, oppure una posizione di predominio). Questo vale per Alatri ( “altura del luogo”), per Veroli (“cittadella alta”), per Ferentino ricca di sorgenti solforose (“terra circondata dall’ acqua”), per Anagni che rappresentava l’ insediamento più importante degli Ernici e che conservò nel tempo la sua posizione di “città sacra dominante” (nella civiltà minoico-micenea l’appellativo del re era ANAX, di chiara origine sumerico-accadica, lo stesso appellativo era dato ai Dioscuri). Per quanto riguarda il nome degli Ernici, Herna corrisponde alla stessa base di Carnia, Carniche, Carnaro (in greco “kranas”), dall’ accadico “qarnu” (punta, corno) e sta quindi ad indicare “il popolo delle alture”. Anche l’affermazione di Ovidio, secondo la quale presso gli Ernici l’anno cominciava nel mese di ottobre, come per gli Spartani e per i Fenici, sembrerebbe avvalorare la tesi dell’origine semitica di molti popoli italici, tra cui gli Ernici.

Le scoperte dell’archeoastronomia

Già negli anni ’80 uno studioso locale, Don Giuseppe Capone, aveva scoperto numerosi allineamenti solari tra l’acropoli e le porte della città e proposto inoltre che la pianta trapezoidale dell’acropoli di Alatri fosse stata ispirata dalla forma della costellazione dei Gemelli. Su questa base un altro studioso locale, Giorgio Copiz, aveva proposto che molti dei centri del Basso Lazio fossero stati costruiti in modo da replicare sul terreno la forma dei Gemelli e di altre costellazioni.

Negli ultimi anni la ricerca che l’archeoastronomia sta portando avanti riguarda le acropoli megalitiche, di cui ce ne sono molte in Ciociaria e nell’Italia centrale. Analizzando i loro allineamenti astronomici gli studiosi hanno scoperto che sono molto, ma molto simili a quelli trovati in strutture simili decisamente più conosciute come quelle presenti ad Alatri e sul monte Circeo.

Essendo queste costruzioni orientate verso stelle che non si vedono più nel nostro emisfero per effetto del fenomeno della recessione, come le stelle del Centauro e della Croce del Sud, la archeoastronomia può essere determinante per la sicura datazione delle città megalitiche e per chiarire il mistero delle origini.

Soprattutto si sta facendo via via più evidente il potere che le stelle hanno avuto per i popoli del Mediterraneo e del Vicino Oriente fin dalla preistoria, quando una antichissima “religione stellare” era di ispirazione non solo per la costruzione di queste opere ma anche per la struttura religiosa e sociale. Quando vengono visti da un osservatore sulla superficie terrestre tutti i corpi celesti si muovono. Il movimento che ci è più familiare è quello della nostra stella che è il Sole nei suoi solstizi e nei suoi equinozi, la luna nelle sue fasi e le stelle.

Le triadi divine che formano sistemi teologici degli Ernici e degli Italici trovano antecedenti nelle religioni mesopotamiche, come la triade cosmica di Anum, Enlil, Ea che riflettono l’universo babilonese costituito dal cielo, dalla terra e dall’oceano e ancora l’altra triade cosmica, Sin, Samas, Istar , la luna, il sole e il pianeta Venere. G. Wissowa mise in evidenza l’importanza di una triade divina pre-capitolina, rappresentata da Iuppiter, Mars, Quirinus, una triade analoga che domina il sistema teologico degli Umbri, testimoniata dalle Tavole di Iguvinum e rappresentata da Giove, Marte e Vofiono, corrispondente a Janus Quirinus.

Gli antichi costruttori ci hanno lasciato indizi e informazioni scritte con le pietre, nel linguaggio delle stelle, come nelle grandi piramidi di Giza e a Stonehenge. Un insieme di indizi, spesso trascurati dagli studiosi, che testimoniano non solo la tenacia di queste civiltà arcaiche, ma soprattutto l’ importanza che le stelle ricoprivano nella loro cultura.

Con l’auspicio che l’archeoastronomia con lo studio delle relazioni tra l’architettura delle antiche civiltà e la disposizione della volta celeste possa gettare luce sui segreti delle città megalitiche e sulle popolazioni italiche, riconosciamo all’astrofisico e archeoastronomo Giulio Magli il merito di avere gettato nuova luce sulle città megalitiche del Lazio con le sue recenti pubblicazioni dedicate alla riscoperta di queste opere straordinarie e del pensiero che ispirò i loro realizzatori. In un affascinante viaggio attraverso il Mediterraneo, ha presentato al lettore le città dei ciclopi e i loro segreti, luoghi famosi, come Micene e Tirinto, ma anche siti misteriosi e quasi sconosciuti, come Alatri, come l’acropoli del monte Circeo, i santuari megalitici delle Baleari, il complesso megalitico di monte Baranta in Sardegna e la piramide di Helleniko. Emergono così i profondi legami degli antichi costruttori con la natura attorno a loro: con la terra dunque, l’acqua, le montagne, e naturalmente, con il cielo e le stelle.