L’Aquila di Sangue, la brutale esecuzione dei vichinghi
In passato sono stati applicati molti differenti ed atroci tipi di esecuzione per i nemici, uno di questi era l’usanza vichinga che veniva chiamata “Aquila di Sangue”.
Si ha una menzione di questa tortura nelle saghe norrene, sebbene gli studiosi siano ancora scettici sulla sua autenticità, sia per la crudele efferatezza, sia per le scarse informazioni pervenute che sono comunque trascritte centinaia di anni dopo la cristianizzazione della Scandinavia.
Il metodo di esecuzione consisteva nel separare con frattura le costole della vittima dalla colonna vertebrale dalla schiena, posizionandole verso l’alto come se si trattassero di ali; alla vittima infine venivano estratti i polmoni dalla cassa toracica, portati sulle spalle e fatti ricadere sul petto venivano cosparsi di sale per acuire l’agonia.
Vittime celebri di questo supplizio sarebbero stati il Re Elle II di Northumbria, Re Edmondo, Re Maelgualai di Munster, il principe norvegese Halfadàn e l’arcivescovo Elfheah.
Uno dei sostenitori della veridicità dell’esecuzione è Alfred Smyth con la pubblicazione Scandivian Kings in the British Isles, affermando che si trattava di un sacrificio umano dedicato al dio Odino.
Uno dei detrattori, Ronald Hutton, scrisse nel libro The Pagan Religions of the Ancient British Isles, che “Il rito, rappresenta l’uccisione di un guerriero sconfitto, nella quale si separavano le costole dalla schiena ed si estraevano i polmoni, è stato dimostrato che probabilmente è un mito cristiano derivante dall’incomprensione di alcuni versi antichi.”