Il ratto delle trebane

Gli Equi, popolo estremamente ribelle, soggiogato dai Romani, venne spazzato via nel 304 a.c., secondo quanto riportato a Tito Livio, questo accadde quando Roma sottomise gli Ernici, mandando i Feziali (dei sacerdoti) dagli Equi a chiedere indennizzo per aver violato la pace alleandosi con i Sanniti, scatenando il panico tra di essi che erano male organizzati non essendo a lungo coinvolti in guerre.

Gli Equi presi alla sprovvista deliberarono di mettere in salvo nottetempo le proprie ricchezze lasciando incustodite le proprie città che all’alba vennero saccheggiate dagli increduli Romani, che non trovando nessuno inizialmente pensarono ad un agguato; secondo le cronache in sessanta giorni di campagna furono invase tra le 31 o le 41 città che per la maggior parte vennero distrutte e incendiate cancellando di fatto il nome degli Equi.

Una leggenda rincorre la storia, in quello che è ricordato come “il ratto delle trebane”, certo meno celebre del “ratto delle Sabine”, ma chissà, che non vi sia un fondo di verità; essa inizia nei territori di Marano Equo, dove una trentina di cavalieri ribelli razziavano i villaggi e abitavano le grotte.

Come uomini di guerra, che vivevano di nomadismo, non potevano avere il calore di una famiglia, ma lo cercavano occasionalmente nei villaggi che attaccavano, con le donne che prendevano prigioniere, tuttavia, la resistenza dei contadini, sempre più determinati a respingerli, li costrinse a spingersi verso l’insediamento di Treba.

Nell’antica città, si celebrava una grande festa, perciò non insospettì più di tanto quel nutrito gruppo di forestieri, che come molti altri, aveva raggiunto la valle per unirsi alle danze; inoltre essi si presentarono carichi di provviste, vino e altri doni delle loro razzie, che convinsero i trebani ad accoglierli oltre le proprie mura.

Durante le danze tuttavia, uno dei guerrieri ribelli, cercò di costringere con la forza, una delle donne trebane, a seguirlo per appartarsi; le grida della giovane ragazza, che voleva giungere vergine alle nozze, richiamarono l’attenzione delle guardie … e scoppiò il finimondo!

Gli Equi ribelli, sfoderate le spade cominciarono a battersi con le guardie trebane, terrorizzando la popolazione che fuggiva da tutte le parti, portando scompiglio a quella che doveva essere una festa; gli invasori seppur in inferiorità numerica, ebbero la meglio, forgiati da anni di battaglie e razzie, ed ognuno dei sopravvissuti, caricò una vergine trebana sul proprio cavallo, prima di fuggire al galoppo!

Trascorsero dei mesi e delle donne non se ne seppe più nulla … Finché un giorno, uno degli esploratori inviati in cerca delle fanciulle, non fece ritorno, affermando di sapere dove esse fossero state condotte; Gli uomini inferociti, bramosi di riportare a casa le proprie figlie o promesse spose, si armarono come meglio poterono, mentre le donne al seguito del piccolo esercito portarono grandi cesti di vimini colmi di pane, per sfamare le ragazze una volta liberate, da quella che doveva essere una terribile prigionia.

Una volta giunti al villaggio (o accampamento, di cui non ci è dato conoscere il nome), i trebani non trovarono le proprie figlie imprigionate, non le trovarono denutrite e con i segni della tortura, ma con enorme sorpresa erano floride e ingrassate e molte di loro incinte; le fanciulle avevano accettato la situazione e si erano anche innamorate dei loro rapitori, declinando ogni richiesta di far ritorno.

I capi di entrambe le fazioni si confrontarono allora a lungo, stabilendo infine un’alleanza, tra Trevi e questo insediamento, con la condizione che ci fosse scambio di merci da entrambe le parti senza pagare dazio alcuno.

Molto probabilmente questa è una leggenda, nata sull’onda del più famoso rapimento, ma come si suol dire “ogni leggenda ha sempre un fondo di verità”.

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