Il riccio, un piccolo amico

Chi non ne ha mai visto uno?

Magari purtroppo falciato sulla strada, o fortunatamente vivo e affamato in cerca di cibo; stiamo parlando del riccio comune, che spesso e volentieri si avvicina nei centri antropizzati in cerca di nutrimento.

Il nome scientifico è Erinaceini, secondo la catalogazione del 1817, sono diffusi in Europa, Africa e Asia, sono abili scalatori e a differenza di quanto si creda, gli aculei sono dei veri e propri peli, che si irrigidiscono grazie alla presenza di cheratina; un riccio adulto ne può avere fino a 5000 con una lunghezza tra i 2-3 cm, sono uno strumento di difesa essenziale verso i predatori, ma anche dalle cadute, poiché quando il riccio assume la classica forma di palla, riduce la superficie di impatto e spezza la caduta rotolando.

Il riccio è un animale onnivoro, che si adatta a una ricca dieta composta da insetti, lumache, rane, uova di uccelli e rettili, frutta e vegetali, ma non disdegna di catturare nidiacei, piccoli serpenti e topolini; vi sono alcune razze domestiche detenibili, come ad esempio il riccio africano, che necessitano di maggiore cura nell’alimentazione, fornendo loro frutta e carne cotti.

Il riccio domestico si affeziona all’uomo come un gatto o un cane, riconoscendo nel padrone il proprio genitore e come i roditori, amano giocare con scatole, palline e ruote girevoli.

In Italia, il riccio selvatico non è detenibile, se non per eccezionali casi di recupero, in caso di ferite o di periodi particolarmente freddi che ne giustifichino il soccorso, un riccio adulto infatti per arrivare al letargo deve pesare almeno 800 grammi, un riccio tra i 350-400 grammi, difficilmente supererà l’invernata.

Il letargo di questi animaletti avviene all’interno di tane o grossi cumuli di foglie secche, è lungo, va solitamente da ottobre a maggio, durante la quale il riccio sfrutta le riserve di grasso accumulate durante la bella stagione, sebbene in particolari giornate invernali, abbastanza calde, esso possa svegliarsi e cercare

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