Gli Emirati Arabi alla conquista dello Spazio

Gli Emirati Arabi si candidano alla conquista dello Spazio, non prima però di sperimentare le condizioni di vita estreme nelle quali l’uomo si ritroverà a dover “sopravvivere”. L’affascinante penisola del Medio-Oriente ambisce allo sviluppo di scienze futuristiche in vari settori, quali l’innovazione, l’ingegneria e la medicina per affermarsi come pionieri nella corsa all’oro del Terzo Millennio.

Il Mohammed Bin Rashid Space Centre

Mars Science City

Gli architetti della Bjarke Ingels Group mirano a realizzare la prima “città marziana” sulla Terra, denominata Mars Science City. L’obiettivo della città-prototipo consiste nel riprodurre le inospitali condizioni di vita del Pianeta Rosso, in cui l’atmosfera è molto sottile, non vi è un campo magnetico globale, le temperature possono superare i – 60 gradi C° e la protezione dalle radiazioni solari è limitata. Al momento il progetto risulta in fase di elaborazione e definizione. Tuttavia, gli ingegneri prevedono l’installazione di quattro immense cupole pressurizzate su una superficie pari a oltre trenta campi di calcio in una zona desertica poco fuori Dubai. Le strutture saranno ricoperte da una membrana di polietilene per mantenere al loro interno temperatura e pressione a tolleranza d’uomo. Ogni cupola sarà dotata di ossigeno, ottenuto dall’applicazione dell’elettricità sul ghiaccio sotterraneo. L’energia solare alimenterà gli impianti di riscaldamento. Alle soluzioni pensate dagli scienziati emiratini per rendere abitabile l’ambiente inospitale marziano si sommano le tecnologie in fase di sperimentazione necessarie alla corsa allo spazio. Il tutto rientrerebbe in un progetto più ampio, nonché ambizioso e dispendioso, con l’obiettivo di colonizzare Marte entro cento anni.

Lo sceicco Mohammed Bin Rashid presso il laboratorio omonimo

Il progetto “Uae Centennial 2071

Finanziati dal Vice Presidente e Primo Ministro Mohammed Bin Rashid Al Maktout, i ricercatori della NASA, dell’università di Edimburgo, del Jet Propulsion Lab, guidati dall’università di Harvard, hanno inaugurato il programma “Uea Centennial 2071”. Il piano prevede la realizzazione di tecnologie futuristiche e l’implemento di attività scientifiche per permettere agli Emirati Arabi di ottenere il loro avamposto sul Pianeta Rosso. Tra i sistemi pensati per simulare l’inospitale ambiente marziano, è prevista la collocazione di un sistema di calotte in aerogel di silicio, composte al 99% da aria. La struttura permetterebbe di ricreare degli ambienti naturali dove produrre acqua e coltivare cibo. Il silicio sarebbe anche in grado di bloccare i raggi ultravioletti nocivi e di isolare il calore, resistendo così alle temperature estreme. Secondo le dichiarazioni del principale propulsore del piano Mohammed Bin Rashid, la colonizzazione avrà inizio nel 2071 e gli Arabi si distingueranno per essere i primi abitanti di Marte. L’anno prescelto non è casuale: corrisponderebbe ai cento anni dall’uscita del Paese dall’influenza britannica. Mohammed Bin Rashid, uno dei più noti “signori del petrolio”, dotato di disponibilità economica illimitata, avrebbe messo sul piatto circa 25 miliardi di dollari per finanziare la ricerca scientifica grazie alla quale poter attuare la sopravvivenza nel primo insediamento umano su Marte. Chi vi si vorrà trasferire, dovrà acquisire nozioni di botanica, fisica, chimica, medicina, astrofisica e così via per garantirsi la sopravvivenza a 58 milioni di chilometri di distanza.

L’astronauta emiratino Hazza Al Mansouri

Hazza Al Mansouri, il primo astronauta nella storia degli Emirati Arabi Uniti

Oltre la sfida di realizzare il primo insediamento umano su Marte, il progetto “Uae Centennial 2071” prevede anche un’attiva partecipazione degli Emirati Arabi alle missioni spaziali internazionali. Già il 25 settembre dello scorso anno l’astronauta arabo Hazza Al Mansouri è partito dal cosmodromo di Baikonur in Kazakistan con la capsula Sojuz-MS per una missione spaziale russa, volta a realizzare delle ricerche scientifiche. Il lancio sarebbe succeduto ad un accordo di cooperazione firmato il 20 giugno dello stesso anno tra il Mohammed Bin Rashid Space Centre e l’Agenzia Spaziale della Federazione Russa Roscosmos. Padre di quattro figli, a soli 36 anni, ma con quattordici anni di esperienza nell’aviazione militare come pilota e istruttore di caccia F-16, l’astronauta emiratino ha seguito un duro percorso di addestramento presso il centro per cosmonauti Yurij Gagarin a Mosca. Selezionato tra oltre quattromila candidati, Al Mansuori farebbe parte del gruppo di astronauti del “Programma Astronauti degli Emirati Arabi”, anch’esso finanziato dallo sceicco Bin Rashid e volto ad addestrare e preparare il primo corpo di astronauti emiratini. Il giovane pilota ha dovuto sottoporsi ad un intenso programma di test ed esercizi prima di salire a bordo della navicella russa. Durante il suo primo viaggio nello spazio, si è occupato principalmente di osservare la Terra, documentare la vita a bordo del veicolo spaziale, assumere temporaneamente il comando della missione. Avrebbe anche portato con sé trenta semi di alberi di Al Ghaf, sua città natale, piantati nel suo Paese al rientro dallo Spazio. Al lancio hanno partecipato il comandante russo della Stazione Spaziale Internazionale Aleksej Ovčinin, gli astronauti americani Christina Koch, Nick Hague, Andrew Morgan, il russo Aleksandr Skvortsov, il nostro connazionale Luca Parmitano.

La sonda Hope Mars

La missione Hope Mars

Hope Mars rappresenta la prima missione degli Emirati Arabi verso Marte. L’obiettivo del lancio consiste nel raggiungere l’orbita del Pianeta Rosso entro 5 mesi. Permarrà in orbita un paio d’anni con l’arduo compito di raccogliere dati sull’atmosfera marziana. In particolare, Hope analizzerà i livelli di ossigeno e di idrogeno, necessari per comprendere le cause dell’assenza di acqua allo stato liquido sul pianeta. Per compiere la missione per la quale è stata concepita, la sonda emiratina è dotata di strumenti dalla tecnologia avanzata. Una fotocamera digitale ad alta risoluzione misurerà le componenti fisico-chimiche del ghiaccio e i livelli di ozono. Uno spettrometro a infrarossi verificherà la potenziale presenza di ghiaccio, vapore acqueo e polvere e monitorerá la temperatura. Uno spettrometro a ultravioletti constaterà la presenza di ossigeno e idrogeno nell’atmosfera. La sonda sarà alimentata da pannelli solari e da batterie secondarie per i momenti di oscurità. Essa presenta una forma esagonale, pesa una tonnellata e mezzo e misura due metri e mezzo per tre. Viaggerà alla velocità di crociera di circa quaranta mila chilometri orari. Il lancio di Hope era previsto per il 14 luglio dalla rampa di Tanegashima in Giappone. In questi giorni la distanza tra Marte e la Terra è minima e tale condizione non si ripeterà prima del 2022. Malgrado il nome promettente, i funzionari dell’agenzia del Mohammed Bin Rashid Space Centre hanno dovuto rinviare il decollo della sonda pochi istanti prima del conto alla rovescia a causa delle avverse condizioni meteorologiche. Un nuovo tentativo di lancio è previsto per domani, 16 luglio, alle 22:43 ora italiana. E’ possibile seguirlo in diretta dal sito dell’Agenzia o su Youtube a partire dalle 20:00.

 

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